venerdì 25 novembre 2011

Contratti ed equivalenza delle prestazioni

Un tema molto importante per gli operatori economici e i loro consulenti è quello dell’equilibrio delle prestazioni nei contratti.
Può, infatti, capitare che dopo la conclusione di un negoziato ci si renda conto che l’accordo raggiunto non è soddisfacente ovvero è gravemente squilibrato.
In questi casi il sistema giuridico non offriva tradizionalmente rimedi soddisfacenti, dato che la possibilità di impugnare un contratto liberamente concluso erano limitate alle ipotesi – eccezionali – della rescissione per lesione ovvero del venir meno di una circostanza presupposta essenziale.
La situazione va oggi cambiando
Si notano, infatti, delle importanti aperture della giurisprudenza e degli interpreti verso il controllo dell’effettiva equivalenza delle prestazioni contrattuali
In passato queste aperture si riferivano solo all’ipotesi  - marginale – dei contratti con prestazioni meramente simboliche. Ricordo Cass. 6235/1980 («in materia di compravendita, il prezzo è un elemento essenziale del contratto che deve ritenersi carente se esso è meramente simbolico e non corrispondente all'effettivo valore del bene trasferito») e  App. Roma, 18 febbraio 1965, in Foro pad., 1965, I, c. 862,  per la quale «la mancanza del prezzo o la pattuizione di un prezzo simbolico rendono priva di causa la compravendita».
Più di recente, con maggiore apertura, ricordo Trib.  Trieste, 14 agosto 1998, in Giur. comm., 1998, II, p. 736 ss., con nota di E. Rimini, Brevi note in tema di vendita di partecipazioni sociali a prezzo irrisorio, sentenza per la quale è «indubbio …. che l’elemento della “causa”, ove interpretato non in senso formale ed astratto, quale tipo o quale genericamente funzione economico – sociale del contratto possa rappresentare anche un valido strumento per controllare in concreto l’uso che i contraenti compiono della loro autonomia, così ad es. da arrivare a sostenere che sono manchevoli sotto l’aspetto “causale” contratti e/o negozi sperequati dal punto di vista normativo, nel senso di una totale diseguaglianza tra le posizioni delle parti», così che è da ritenersi superato «l’orientamento giurisprudenziale dominante in passato, fondato sulla ritenuta indifferenza dell’ordinamento giuridico alle manifestazioni di autonomia privata, con conseguente inammissibilità di un controllo giudiziale in ordine alla rispondenza valoristica fra prezzo e res alienata».
Va anche ricordata Cass., 20 novembre 1992, n. 12401, in Foro it., 1993, I, 1506, con nota di F. Caringella, Alla ricerca della causa nei contratti gratuiti atipici), per la quale «nei contratti a prestazioni corrispettive, il difetto di equivalenza, almeno tendenziale, delle prestazioni e, a maggior ragione, il difetto tout court della pattuizione di un corrispettivo o comunque, della ragione giustificativa della prestazione prevista, comporta l’assoluta mancanza di causa del contratto e, per l’effetto, la nullità dello stesso».
Analogamente Cass. 15 giugno 1999, n. 5917, in Giust. civ., 2000, I, p. 135 ss.  ha affermato che il «difetto di equivalenza delle prestazioni o della ragione giustificativa della prestazione prevista» comporti «l’assoluta mancanza di causa del contratto e, per l’effetto, la nullità dello stesso».

Quali sono le modalità di approvazione del rendiconto nelle società di persone?

Il rendiconto delle società di persone. deve essere predisposto dai soggetti incaricati dell’amministrazione della società di persone.
È discusso se l’approvazione del rendiconto debba avvenire all’unanimità ovvero a maggioranza dei soci.
Una parte degli interpreti ritiene che tale approvazione debba avvenire all’unanimità o – quantomeno – a maggioranza dei soci non amministratori (Ferrara – Corsi, De Gregorio, Ferri, Galgano, Di Sabato, Guerrera.). Altri ritengono che l’approvazione debba avvenire a maggioranza, calcolata secondo la partecipazione di ciascun socio agli utili (Bolaffi, Cottino-Weigmann, Graziani, Serra,Schlesinger).
In giurisprudenza segue la tesi dell’unanimità Trib. Catania, 30 giuno 1987, in Foro It., 1988, I, 1713.
Per prevenire conflitti tra soci appare preferibile regolare esplicitamente la questione nell’atto costitutivo.

mercoledì 23 novembre 2011

COME SCEGLIERE UN SERVIZIO DI ASSISTENZA LEGALE?


Uno dei principali problemi per l’uso degli strumenti del diritto è quello della  scelta dell'avvocato che possa assistere l'impresa in giudizio o nelle scelte contrattuali e organizzative.
Parlando con clienti e colleghi, sono giunto alla conclusione che una buona procedura di scelta potrebbe essere articolata nelle seguenti quattro tappe:
1.         Raccolta di informazioni preventive. Prima di avviare un contatto professionale è bene cercare di informarsi preventivamente con ogni mezzo disponibile (stampa, indicazioni di altri imprenditori, referenze di consulenti dell'impresa, internet) sulle caratteristiche dei  legali disponibili in zona, con particolare riferimento a questioni come la sede dello studio, le competenze, la disponibilità di tempo e il trattamento economico della clientela. Una particolare attenzione deve essere dedicata alla questione delle competenze. Nel sistema italiano non vi sono ancora specializzazioni legali definite, ma: a) esistono, in linea di fatto, avvocati che si dedicano maggiormente all'una o all'altra materia; b) esistono materie nelle quali si è formata una comunità di giuristi dedicati, alla quale è opportuno rivolgersi (mi riferisco, ad esempio, al diritto urbanistico o a quello societario). Sono utili, per conoscere, le specializzazioni degli avvocati, i repertori online come Avvocati24 o gli elenchi degli iscritti alle associazioni di specialisti di una materia, come la società avvocati amministrativisti o la associazione giuslavoristi .
2.         Selezione delle informazioni. Le informazioni raccolte dovrebbero essere selezionate in modo tale da creare una graduatoria di professionisti. La graduatoria dovrebbe essere stesa cercando di annullare l'influenza dei rapporti personali tra gli informatori e i professionisti indicati (le referenze potrebbero, per esempio, essere state influenzate dall'esito recente di una causa o dalla presenza di interessi comuni tra un consulente dell'impresa e l'avvocato da costui indicato).
3.         Contatto preliminare con l'avvocato. Dopo avere formato la graduatoria si può passare al contatto diretto con l'avvocato prescelto (o con più avvocati, ove ciò si reputi necessario) per verificare la disponibilità del professionista a seguire la questione e per un franco chiarimento sulla sua effettiva competenza nella materia oggetto dell'incarico: un professionista responsabile vi preciserà se si sente in grado o meno di affrontare il tema da Voi proposto. Nel contatto preliminare dovranno essere anche esaminati eventuali profili di incompatibilità (è in particolare meglio verificare subito, per evitare perdite di tempo, se l'avvocato ha rapporti di qualsiasi natura con la controparte. Sempre preliminarmente è opportuno chiarire il presumibile costo dell'intervento.
4. Decisione sull'affidamento dell'incarico. Sulla base delle referenze raccolte e dell'impressione raccolta nel colloquio preliminare dovrebbe essere possibile sciogliere la riserva sull'affidamento dell'incarico. Normalmente la decisione viene compiuta tenendo presenti  l'affidamento nel buon esito dell'incarico dato dall’avvocato e il possibile costo della prestazione professionale. Spesso i clienti non considerano in maniera equilibrata queste due circostanze. La tendenza è quella di privilegiare l'avvocato che abbia prospettato con sicurezza l'esito favorevole della lite (o della trattativa), ovvero quello che abbia promesso particolari agevolazioni economiche. È bene, invece, tenere presente che un professionista serio in molti casi non potrà  dare certezze sull'esito dell'incarico e dovrà, invece, prospettare al possibile cliente i rischi e le complicazioni possibili. Allo stesso modo, è bene anche considerare che normalmente una prestazione di buon livello può essere resa solo nel rispetto delle tariffe professionali vigenti rese note dal  Consiglio Nazionale Forense.

Come difendersi dalle eccezioni dei debitori insolventi?


Le statistiche internazionali collocano l’Italia ai primi posti nella graduatoria dei Paesi che presentano alti tassi di ritardo nei pagamenti.
Nella programmazione aziendale dell’uso del diritto è opportuno prestare particolare attenzione alla questione delle eccezioni dei debitori.
Nella prassi degli affari, salvi i casi di crisi imprenditoriale conclamata, l’insolvenza è spesso accompagnata da eccezioni relative al rapporto con il creditore: difetti dei prodotti o dei servizi, ritardi di consegna, mancata assistenza post vendita, mancanza di pezzi di ricambio…
Le eccezioni sono talvolta verosimili e talvolta, invece, palesemente incredibili.
Dal punto di vista pratico, la fondatezza di un’eccezione è, paradossalmente, poco rilevante. Il debitore sa che se il creditore non ha una replica immediata ed evidente potrebbe essere possibile trascinare per anni un processo civile senza mai arrivare ad una condanna e spesso programma di arrivare, dopo un certo tempo, ad una transazione per sé favorevole (ma sconveniente, se non rovinosa, per l’impresa creditrice)
Uno schema di comportamento per prevenire le eccezioni potrebbe essere il seguente:
definire le condizioni contrattuali standard da proporre alla clientela: l’investimento di tempo e di risorse economiche nella predisposizione di contratti ben fatti si rivela sempre proficuo. In molti casi possono anche essere utili gli schemi predisposti da associazioni di categoria o organismi pubblici (come quelli proposti e distribuiti gratuitamente dall’Associazione Curia Mercatorum di Treviso o quelli elaborati dall’Associazione dei costruttori di Macchine Utensili – UCIMU). A seconda dei casi, poi, si può elaborare uno schema contrattuale rigido non derogabile (come fanno da Banche e Assicurazioni), oppure uno schema di massima da utilizzare nelle trattative.
concordare con esattezza l’oggetto della prestazione: un buon contratto non è sufficiente a prevenire le eccezioni dei debitori se non contiene la descrizione esatta del'oggetto della prestazione. Se, per esempio, si tratta della vendita di una macchina utensile è molto importante precisare quali attività la macchina è in grado di fare e quali siano le necessità di materiali di consumo. Molte cause si trascinano per anni perché i clienti rifiutano il pagamento asserendo che la macchina acquistata non svolge tutte le lavorazioni che potevano essere attese. In questi casi i Consulenti dei Tribunali sono costretti a ricostruire - a distanza di tempo - le prestazioni di una macchina ideale secondo lo stato della tecnica al momento della vendita, con ogni immaginabile rischio per il recupero del credito.
imporre ai collaboratori la stipula di un contratto scritto: non sempre le imprese applicano effettivamente le condizioni generali elaborate con grande sforzo, mentre sono frequenti i casi in cui non si formalizza neppure un accordo scritto con la clientela (questo accade, per esempio, quando i clienti premono per forniture immediate o quando si tratta del rinnovo di una prestazione già eseguita). Obbligare i clienti a firmare i contratti proposti non è sempre facile, soprattutto per le imprese di dimensioni minori o per quelle che operano in mercati molto competitivi, dove conta soprattutto la velocità di negoziazione: in questi casi si potrebbe cercare di trasformare il contratto in uno strumento di marketing, valorizzando nella relazione con il cliente i vantaggi dell’accordo scritto.
rispettare le condizioni contrattuali: Il rispetto delle condizioni di tempo e di qualità concordate deve essere un obiettivo condiviso da tutti i collaboratori dell’impresa, mentre è bene rifiutare le proposte di deroga informale alle condizioni che spesso provengono dai clienti. Accettare queste proposte, spesso formulate in buona fede, può portare alla creazione di situazioni opache, che diventano terreno fertile per le eccezioni dei debitori. Una lite molto frequente nei Tribunali è quella tra i fornitori di macchine utensili e i clienti sull’interpretazione dei disegni di modifica del progetto della macchina elaborati dopo il contratto (non vale neanche la pena di citare, poi, le moltissime liti sulle “varianti” nelle costruzioni).
cercare di ottenere dal cliente l’assenso formale all’opera svolta: mentre il lavoro procedere o nella fase immediatamente successiva alla consegna del bene o allo svolgimento del servizio il cliente, che magari gode di una dilazione di pagamento, è normalmente ben disposto nei confronti del fornitore.
È bene documentare il rispetto delle condizioni contrattuali con gli strumenti più opportuni: se, per esempio, si è concordato un certo termine di consegna del progetto preliminare di un’opera, è opportuno organizzare l’esame congiunto del progetto e stendere un verbale della riunione, per evitare future contestazioni circa la completezza dell’elaborato.
Molto importante, nelle prestazioni di maggiore complessità, è anche stendere una relazione congiunta che documenti il "collaudo" dell'opera o il completamento del servizio
curare le attività post vendita: il contenzioso con i clienti sorge spesso nella fase post vendita. Il cliente non è sempre in grado di utilizzare il prodotto o il servizio che ha acquistato e potrebbe imputare al venditore l'impossibilità di godere del suo acquisto. È meglio investire una somma ragionevole nell’offerta di corsi di formazione per il personale del cliente o in attività di assistenza telefonica, piuttosto che affrontare cause lunghe e complesse.

martedì 22 novembre 2011

Quali sono i criteri per la formazione del rendiconto nelle società di persone?

Si ritiene generalmente che nelle società semplici il rendiconto annuale possa essere formato senza rispettare le disposizioni in tema di bilancio d’esercizio: questo perché tali società non sono obbligate alla tenuta della contabilità (Campobasso, 2006, 85; Ferri, 1987, 244ss.;  per la diversa opinione cfr. Ragusa Maggiore, 2000, I, 246; Weigmann, 1986, 53).
 Nelle società in nome collettivo ed in accomandita semplice, nelle quali vige, (art. 2302 c.c.), l’obbligo di tenuta delle scritture contabili, si ritiene che il rendiconto debba essere formato secondo i criteri propri del bilancio delle società per azioni, alla luce del principio generale (art. 2217 c.c.) per cui l’imprenditore deve attenersi, nelle valutazioni di bilancio, ai criteri stabiliti per le società per azioni, in quanto applicabili (per riferimenti cfr. Presti-Rescigno, 2005, II, 44).
Per la tutela del socio appare comunque opportuno che nella formazione del contratto sociale vengano inserite clausole che prevedano dettagliatamente i criteri per la distribuzione degli utili e che impongano agli amministratori la formazione di un resoconto articolato, formato secondo i criteri contabili applicabili al bilancio di esercizio delle s.p.a.

lunedì 21 novembre 2011

La distribuzione degli utili nelle società di persone

Nelle società di persone tutti i soci partecipano agli utili della gestione sociale: i soci partecipano altresì, salvo per i casi in cui è ammesso il patto contrario, alle relative perdite.
Non esistono regole imperative in ordine alle modalità di ripartizione degli utili tra i soci delle società di persone, salvo il divieto del “patto leonino” (art. 2256 c.c.: “è nullo il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite”).
Esistono peraltro (art. 2263 c.c.) delle regole suppletive, applicabili in difetto di accordo tra le parti in ordine alle modalità di distribuzione dell’utile.
Si tratta delle seguenti regole:
-          le parti spettanti ai soci nei guadagni e nelle perdite si presumono proporzionali ai conferimenti. Se il valore dei conferimenti non è determinato dal contratto, esse si presumono uguali;
-          la parte spettante al socio che ha conferito la propria opera, se non è determinata dal contratto, è fissata dal Giudice secondo equità;
-          se il contratto determina soltanto la parte di ciascun socio nei guadagni, si presume che debba determinarsi nella stessa misura la partecipazione alle perdite.
Il contratto sociale può peraltro prevedere che la determinazione della parte di guadagni e di perdite spettante a ciascun socio sia rimessa ad un terzo, che operi come “arbitratore” (art. 2264 c.c.).
Nelle società di persone il diritto alla percezione dell’utile sorge immediatamente dopo l’approvazione del rendiconto annuale e non può quindi essere sottratto ad un socio senza il suo consenso, salvo contraria disposizione del contratto sociale (art. 2262 c.c.).

domenica 20 novembre 2011

Il procedimento di recesso nelle società per azioni

L’articolo 2437 ter del codice civile stabilisce che in caso di recesso del socio di società per azioni non quotata il valore delle azioni per le quali viene esercitato il recesso deve essere determinato dagli amministratori, sentito il parere del collegio sindacale e del soggetto incaricato della revisione contabile “tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonchè dell’eventuale valore di mercato delle azioni (art. 2437ter, 2° comma).
La stessa norma prevede invece, nel caso di recesso da società per azioni quotata in mercati regolamentati, che il valore si liquidazione delle azioni del socio receduto sia determinato “facendo esclusivo riferimento alla media aritmetica dei prezzi di chiusura nei sei mesi che precedono la pubblicazione ovvero ricezione dell’avviso di convocazione dell’assemblea le cui deliberazioni legittimano il recesso” (art. 2437 ter, 3° comma).
Nelle società non quotate il contratto sociale può peraltro prevedere criteri diversi di determinazione del valore di liquidazione, indicando gli elementi dell'attivo e del passivo del bilancio che possono essere rettificati rispetto ai valori risultanti dal bilancio, unitamente ai criteri di rettifica, nonché altri elementi suscettibili di valutazione patrimoniale da tenere in considerazione (art. 2437 ter, 4° comma).
Il procedimento per la liquidazione della somma dovuta al socio recedente è articolato secondo la seguente scansione:
-         nei quindici giorni precedenti la data fissata per l’assemblea chiamata a deliberare su questione che possa legittimare il recesso il socio ha diritto di ricevere dagli amministratori la comunicazione del valore di rimborso proposto dagli amministratori in base ai criteri legali ed a quelli fissati nel contratto sociale (art. 2437 ter, 5° comma);
-         il socio può, nel contesto della dichiarazione di recesso, contestare il valore proposto dagli amministratori;
-         in questo caso la somma da rimborsare deve essere determinata con relazione giurata entro novanta giorni dall’esercizio del recesso da parte di un esperto arbitratore nominato dal Tribunale su istanza della parte più diligente;
-         le azioni del socio che abbia esercitato il diritto di recesso devono essere offerte dagli amministratori in opzione agli altri soci (ed ai titolari di obbligazioni convertibili) in proporzione alla rispettiva partecipazione;
-         le azioni non acquistate devono quindi essere collocate sul mercato;
-         qualora siano assenti soci o terzi disponibili ad acquistare le azioni, le stesse devono essere acquistate da parte della società utilizzando riserve disponibili;
-         in assenza di utili e di riserve disponibili deve essere convocata dagli amministratori l’assemblea per deliberare la riduzione del capitale sociale ovvero lo scioglimento della società. I creditori possono opporsi alla delibera di riduzione del capitale sociale secondo la disciplina di cui all’articolo 2445: in caso di accoglimento dell’opposizione la società si scioglie.

Liti tra i soci. Cosa fare?

A un certo punto succede …
Dopo anni di lavoro insieme, di progetti e di fatiche condivisi viene un momento in cui l’equilibrio si rompe e inizia una lite fra i soci.
Alcune liti si compongono velocemente, perché prevale in tutti i soci la volontà di conservare l’impresa.
In altri casi nascono conflitti che assomigliano, nei toni e nei modi, alle peggiori saghe coniugali.
L’esperienza insegna che nelle piccole e medie società le liti disturbano - inevitabilmente -  le conduzione aziendale e talvolta determinano la crisi dell’impresa.
Le liti sono devastanti perché il diritto non offre alcuno strumento per la rapida composizione dei contrasti tra soci.
Ci sono degli imprenditori, molto accorti (o con dei consulenti molto accorti) che programmano la possibilità di un contrasto al momento della stesura dei patti sociali, nei quali inseriscono complesse regole utili a risolvere le liti, come le clausole di esclusione, di recesso, di riscatto o quelle di conciliazione.
Di solito, tuttavia, le liti non sono previste. Questo, ad esempio, perché molte delle piccole società italiane vengono fondate all’interno di ristretti gruppi familiari, dominati da un soggetto “forte” sul piano personale o imprenditoriale: il successivo trasferimento ereditario delle partecipazioni aumenta la possibilità delle liti.
Qui di seguito qualche riflessione su cosa pare opportuno fare di fronte ad un conflitto.
Analizzare lo scenario del contrasto
Le controversie societarie possono insorgere in scenari molto diversi e sono influenzate da molti fattori, i più importanti dei quali sono la dimensione della società, il numero di soci ed i rapporti di forza tra gli stessi.
In generale (ma vi sono molti casi intermedi) si contrappongono un socio (o un gruppo di soci) in grado di aggregare la maggioranza del capitale a un altro socio (o gruppo di soci) “di minoranza”.
La “minoranza” è normalmente in posizione di debolezza, anche se si possono presentare situazioni differenti, nelle quali i rapporti di forza sono invertiti. Questo accade, ad esempio, quando il soggetto che detiene una parte molto piccola del capitale sociale è il titolare esclusivo del know how sociale o ha concesso alle banche delle garanzie determinanti per la continuazione dell’attività.
Il soggetto coinvolto in un conflitto societario deve quindi analizzarne attentamente lo scenario, per valutare quali siano i rimedi possibili.



Individuare i rimedi.
Non esistono rimedi giuridici immediati delle liti societarie: quando i soci di una società litigano non esiste un procedimento di risoluzione immediata del conflitto, come ne esistono nel diritto di famiglia (divorzio, decadenza della potestà genitoriale) o in quello della proprietà (divisione, imposizione forzosa di servitù su di un fondo.…)
Questo vuol dire che il socio interessato a risolvere il conflitto è costretto a dedicare molte energie per indurre gli altri soci ad affrontare la questione a trovare un rimedio soddisfacente.
I rimedi possono essere molti: si va da una riorganizzazione della società tale da distribuire diversamente utili e remunerazioni, all’attribuzione diretta a soci di talune attività fino all’uscita di uno o più soci o – in casi estremi – allo scioglimento della società.
Una volta programmato il rimedio che pare maggiormente desiderabile occorre porlo in essere.
Per arrivare a questo risultato la prima strada è quella della trattativa. Si tratta di indurre gli altri soci ad accettare, senza alcun contenzioso, le riorganizzazioni o i trasferimenti (di partecipazioni, di rami d’azienda o di altro) che possano essere utili per porre fine alla lite.
La seconda strada, purtroppo spesso necessaria, è quella del contenzioso.
Si tratta però, occorre sottolinearlo, di un contenzioso “indiretto”, ossia dell’uso di strumenti processuali che solo indirettamente possono portare alla soluzione della lite.
In altre parole: il socio che intende ottenere la liquidazione della propria partecipazione potrà verificare se vi sono irregolarità da parte degli amministratori “vicini” agli altri soci e quindi svolgere le iniziative conseguenti (dalla mera impugnazione degli atti amministrativi fino all’azione di responsabilità o alla denuncia al Tribunale, se ammessa nel particolare tipo di società).
Allo stesso modo: il socio che intende ottenere una riorganizzazione societaria potrebbe promuovere verifiche della gestione della particolare divisione organizzativa alla quale è interessato.

E il contenzioso?

Se il rimedio prescelto è quello del contenzioso, occorre scegliere con particolare attenzione i consulenti e i professionisti ai quali affidarsi. È, in particolare, molto importante, per evitare conflitti di interessi, che si tratti di soggetti diversi da quelli con i quali la società ha ordinariamente rapporti. È, parimenti, importante scegliere dei soggetti effettivamente esperti nella materia, che saranno capaci di scegliere gli strumenti processuali migliori. Il contenzioso non è, lo si è detto, il rimedio delle parti più forti. Occorre poi essere ben consapevoli che si tratta di un percorso molto complesso (e forse costoso), durante il quale la controparte potrà porre in essere molte contromisure pericolose come l’allontanamento dalla società di collaboratori vicini al socio litigioso o l’approvazione di aumenti di capitale finalizzati a “diluire” la partecipazione di questo socio.
Tutto questo mentre il conflitto potrebbe logorare la società
Per questi motivi pare opportuno individuare degli strumenti processuali quanto più rapidi ed efficaci possibile.
Azioni di mero disturbo, come le impugnazioni di bilancio, non si rivelano, all’atto pratico, molto efficaci.
Maggiori prospettive hanno, invece, iniziative più incisive come le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori (che nelle s.r.l. possono essere promosse da qualsiasi socio) o la richiesta di intervento di organismi di controllo.

Azione individuale di responsabilità e diminuzione del valore della partecipazione sociale

Per costante orientamento giurisprudenziale e dottrinale l’azione “individuale” di responsabilità non può essere proposta dai soci nei confronti degli amministratori  sul solo presupposto della diminuzione del valore della partecipazione sociale conseguente a scelte amministrative censurate.
Questo perché l’azione in questione si può proporre solo quando esiste un danno “diretto” al socio e non anche quando il pregiudizio lamentato sia un mero riflesso
di un danno al patrimonio della società.
Ciò significa, in particolare, che non è ammissibile l’azione del socio che voglia ottenere dagli amministratori il risarcimento del danno conseguente alla presunta riduzione del valore della sua partecipazione sociale derivante da atti di mala gestio.
Sul punto si riscontra un consolidato orientamento della Corte di Cassazione
Il Supremo Collegio ritiene che il danno consistente nella riduzione del valore della partecipazione societaria, non costituisce danno diretto ai sensi dell'art. 2395 c.c. in quanto configura un effetto mediato di quello asseritamente arrecato al patrimonio sociale.
Questo perché la partecipazione sociale, pur attribuendo al socio una complessa posizione, comprensiva di diritti e poteri, è un bene distinto dal patrimonio sociale e, quindi, nell'ipotesi di (prospettata) diminuzione di valore della misura della partecipazione, il pregiudizio derivante al socio è una conseguenza indiretta e soltanto eventuale della condotta dell'amministratore o del liquidatore.
Sulla scorta di questa considerazione il diritto alla realizzazione dell'oggetto sociale ed alla conservazione del patrimonio sociale spetta alla società, non al socio, il quale ha, in materia, un mero interesse, la cui eventuale lesione, anche se determinata dalla "pessima amministrazione della società (Cass. n. 2251 del 1998; n. 9385 del 1993) e dalla violazione dei doveri di amministratore verso la società (Cass. n. 9385 del 1993, in riferimento ad un caso di rinuncia da parte dell'amministratore ad una concessione di cui era titolare la società) neppure può concretare quel danno diretto necessario perché possa esperirsi l'azione individuale di responsabilità ex art. 2395 c.c. (Cass. n. 6364 del 1998; n. 9385 del 1993; n. 327 del 1974): si veda da ultimo, in particolare, Cass. n. 8359 del 23 aprile 2007 e. Cass. 28 febbraio 1998 n. 2251, in Fallimento, 1999, 254.