venerdì 20 luglio 2012

LA PROCEDURA DI CONCILIAZIONE: UN VANTAGGIO O UN COSTO PER L’IMPRESA?






La legge impone a chi voglia avviare una causa civile relativa a determinate materie di tentare preventivamente il raggiungimento di un accordo con la controparte con l’assistenza di un Organismo di Mediazione.
La procedura preventiva di conciliazione è attualmente obbligatoria per determinate liti, come quelle relative ai rapporti di locazione al risarcimento danni da responsabilità medica e - soprattutto - ai contratti assicurativi, bancari e finanziari.
L'articolo segue sul nuovo blog, impresa e società. È, però, naturalmente possibile un accesso più ampio alla conciliazione.
Un soggetto (o in particolare l’impresa) che voglia iniziare una lite può, infatti, rivolgersi su base volontaria a un organismo per la mediazione delle controversie, sollecitando un tentativo di composizione del conflitto.
La “volontarietà” del tentativo di conciliazione può anche essere rafforzata sul piano contrattuale, inserendo negli accordi relativi a qualsiasi materia (fornitura di beni, prestazioni di servizi, statuti di società, accordi parasociali, ecc.) clausole tali da imporre alle parti l’esperimento di una procedura conciliativa prima dell’avvio di qualsiasi lite.
Un buon esempio è il seguente: «In ogni caso, prima di agire in giudizio, le parti s’impegnano a tentare la conciliazione presso la Camera di Commercio della provincia di residenza del consumatore, secondo la procedura stabilita dal Regolamento di conciliazione da questa adottato.
I soggetti incaricati della pianificazione legale dell’impresa devono ormai fare i conti con la conciliazione delle liti, tenendo conto dei costi e delle probabilità di successo della stessa sia quando l’attività di impresa interessi ambiti di conciliazione “obbligatoria” e sia quando si voglia un ricorso“volontario” alla conciliazione negli ambiti non coperti dall’obbligatorietà.
La valutazione in proposito deve tenere conto di diverse circostanze.
Anzitutto: la conciliazione obbligatoria sembra avere un modesto effetto positivo nella riduzione del numero delle liti. Dai dati del Ministero della Giustizia relativi al primo anno di applicazione della relativa disciplina risulta che il soggetto contro il quale si avvia la procedura conciliatoria compare nel 35% dei casi e che quando la comparizione avviene il 48% delle liti si compone. Questo vuol dire, in sostanza, che la probabilità di successo della conciliazione “obbligatoria” è circa del 17%. Questa potrebbe essere considerata, in primissima approssimazione, anche la probabilità di successo della conciliazione “volontaria” (per esempio di quella prevista nei contratti).
Va poi considerato che la conciliazione è piuttosto costosa, per l'onere delle indennità dovute agli organismi di mediazione (proporzionali al valore della lite) e per effetto della necessità di sopportare i costi dell'assistenza professionale nel corso della procedura.
Va poi tenuto in conto il fatto che spesso l’accordo conciliativo è concluso dalle parti senza sufficiente approfondimento della situazione di fatto e solo per l’esigenza di evitare –comunque – l’insorgere di una lite.
Tale accordo è – però – molto difficile da impugnare: può quindi succedere che i costi e il tempo dedicati alla mediazione si rivelino infruttuosi.
In conclusione: occorre avvicinarsi alla conciliazione con grande prudenza e – soprattutto – cercando di valersi di assistenza professionale qualificata e preparata alla cultura della mediazione, mentre allo stato attuale sembra essere prematuro l'impiego generalizzato di clausole di conciliazione nei contratti dell'impresa.

domenica 1 luglio 2012

DECRETO SVILUPPO: IMPORTANTI NOVITÀ PER LA SOLUZIONE NEGOZIATA DELLA CRISI D’IMPRESA

Dopo l’abolizione dell’istituto dell’amministrazione controllata la normativa italiana sulla crisi d’impresa non prevedeva uno strumento agile e non troppo formalizzato di protezione dell’impresa in crisi dalle azioni dei creditori e non conteneva una regola che consentisse all’impresa in difficoltà non fallita di sciogliersi dai contratti in corso.
L'articolo segue sul nuovo blog, impresa e società.
Sul punto non mancavano gli esempi degli ordinamenti stranieri e non sarebbe stato impensabile introdurre uno strumento normativo orientato alla moratoria delle azioni dei creditori e alla risoluzione dei contratti per un periodo sufficiente a consentire la ricerca di una soluzione alla crisi d’impresa.
Il decreto sviluppo n. 83/2012 segna un’importante svolta nella direzione della gestione semplificata della crisi d’impresa, modificando la legge fallimentare.
La nuova disciplina consente all’impresa che vuole sottoporsi alla procedura del concordato preventivo di depositare un ricorso contenente la sola richiesta di ammissione alla procedura: la complessa documentazione finora prevista dalla legge fallimentare (come il piano concordatario e la situazione patrimoniale) possono essere depositati in seguito, nel termine stabilito dall’Autorità Giudiziaria (nuovo articolo 161 della legge fallimentare).
Nel periodo compreso tra il deposito del ricorso e il decreto di apertura della procedura di concordato preventivo, l’imprenditore può compiere, previa autorizzazione del tribunale, gli atti urgenti di straordinaria amministrazione e, senza necessità di autorizzazione, gli atti di ordinaria amministrazione (sempre nuovo articolo 161 della legge fallimentare).
Per effetto della sola presentazione del ricorso (e della sua pubblicazione nel Registro delle Imprese) i creditori per titolo o causa anteriore non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore, mentre le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni precedenti la procedura sono inefficaci nei confronti dei creditori (nuovi articoli 168 e 169bis).
Secondo la disciplina del decreto il debitore che abbia presentato domanda di ammissione a concordato può essere autorizzato dall’Autorità Giudiziaria a sciogliersi dai contratti in corso ovvero a sospenderne l’esecuzione per un periodo massimo di centoventi giorni: in questi casi al contraente è dovuto un indennizzo equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento (nuovi artt. 168 e 169bis della legge fallimentare).
Sono poi da segnalare:


-       il nuovo art. 182-quinquies della legge fallimentare, che consente al debitore, previa autorizzazione del tribunale, di contrarre finanziamenti funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori;


-       il nuovo art. 186-bis, relativo al “Concordato con continuità aziendale”, istituto che prevede la prosecuzione dell'attività d’impresa da parte del debitore, anche attraverso la cessione dell'azienda in esercizio ovvero il conferimento dell'azienda in esercizio in una o più società (su questo si tornerà con altro post)
I commenti a queste nuove regole sono, ovviamente, prematuri (anche perché il decreto deve essere ancora convertito).
Al favore per la semplificazione introdotta nel sistema si accompagna però, sin d’ora, qualche perplessità sulla possibilità dell’utilizzo strumentale della protezione dalle azioni dei creditori offerta dalla mera presentazione di una domanda di ammissione a concordato, priva di qualsiasi controllo sulla ragionevolezza e sulla prognosi di esito.