QUINTA SCHEDA DI DIRITTO COMMERCIALE. GLI AUSILIARI DELL'IMPRENDITORE COMMERCIALE

Institore, procuratore e commesso si differenziano tra di loro per una diversa posizione nella gerarchia dell’impresa commerciale medio-grande e, quindi, per una diversa ampiezza del rispettivo potere rappresentativo.

L'institore è definito dall'articolo 2203 del codice civile come segue: 
«institore colui che è preposto dal titolare all'esercizio di un'impresa commerciale. La preposizione può essere limitata all'esercizio di una sede secondaria o di un ramo particolare dell'impresa. Se sono preposti più institori, questi possono agire disgiuntamente, salvo che nella procura sia diversamente disposto».

Si tratta, in buona sostanza, del collaboratore dell'imprenditore di più alto livello, abilitato a compiere pressoché tutte le operazioni giuridiche d'impresa salve le limitazioni derivanti dalla procura, opponibili a terzi solo se iscritte nel registro dell'impresa.

Ad esempio, nella sentenza n. 8976 del 2011 la Cassazione ha affermato quanto segue:
«Il direttore di banca è normalmente un institore. L'attività posta in essere dalle filiali o succursali di una banca, in quanto prive di personalità giuridica, così come indicato nella direttiva Cee n. 780 del 12 dicembre 1977 ed espressamente ribadito dall'art. 1, lett. e, d.lg. 1º settembre 1993 n. 385, deve essere imputata all'istituto di credito di cui costituiscono un'emanazione periferica, non essendo tali stabilimenti sottratti al regime generale delle sedi secondarie delle imprese operanti in forma societaria. Ai dirigenti preposti a tali filiali e succursali, peraltro, è, di regola, riconosciuta la qualità di institore, ai sensi dell'art. 2203 c.c., dalla quale deriva la loro legittimazione attiva e passiva in giudizio in nome della banca preponente con imputazione a quest'ultima dell'attività giudiziaria da essi svolta».


Sui poteri dell'institore si veda Appello Milano 16 aprile 1992:
«gli atti compiuti dal direttore di filiale infedele in forza della procura inerente alla funzione esercitata obbligano la banca, dovendo attribuirsi al primo la qualità di institore o, quanto meno, di procuratore. La banca è tenuta ad eseguire il contratto concluso dal direttore di filiale che, dopo essersi obbligato nella sua qualità ad investire somme ricevute dal cliente, se ne sia appropriato o le abbia destinate a fini diversi da quelli pattuiti».

La procura institoria può anche essere implicita, come precisato da Cass. 11039/1991:
«l'ausiliare dipendente dell'imprenditore che, per la posizione assegnatagli nell'ambito dell'impresa, sia destinato a concludere affari per l'imprenditore, con implicita "contemplatio domini", impegna la responsabilità dell'impresa per gli atti che rientrano nell'esercizio delle sue funzioni, indipendentemente dallo specifico conferimento di procure, in quanto il potere di rappresentanza costituisce effetto naturale della sua collocazione nell'organizzazione dell'impresa».



Il procuratore è un rappresentante dell'imprenditore con poteri più limitati perché limitati ad una sola categoria di atti  (art. 2209 cod. civ.). Anche per questo rappresentante non sono opponibili ai terzi le limitazioni alla procura non iscritte nel Registro delle Imprese


Il commesso è il collaboratore dell'imprenditore incaricato di a trattare con i clienti in posizione esecutiva e subordinata.

Ha le limitazioni di potere previste dagli articoli 2210ss. del codice civile (come il divieto di derogare alle condizioni generali di contratto stabilite dall'imprenditore.

Può ricevere le denunce relative ai vizi delle cose vendute e chiedere provvedimenti cautelari (come un sequestro) nell'interesse dell'imprenditore.

Sul commesso si veda Cassazione 26048/2005:
«i commessi (riguardo ai quali la principale distinzione si configura tra commessi viaggiatori e commessi di negozio) - cui allude l'art. 2210 c.c. - sono ausiliari dell'imprenditore commerciale con mansioni più modeste (di tipo essenzialmente materiale e finalizzate tutte a concludere contratti per il principale) e con poteri di rappresentanza più limitati rispetto all'institore e al procuratore, riguardando essa gli atti che ordinariamente comporta la specie di operazioni di cui essi sono incaricati. Non è tuttavia sufficiente, in proposito, che taluno sia "collaboratore" di una certa organizzazione imprenditoriale e "responsabile dell'ufficio manutenzioni" per ritenere che lo stesso sia anche munito del potere di rappresentanza dell'imprenditore o possa qualificarsi "commesso" ai sensi e per gli effetti di cui al citato art. 2210 c.c.».
 Si veda anche Cass. 484/1999: «i limiti del potere rappresentativo, stabiliti dagli art. 2210 e 2211 c.c., collocano le mansioni del commesso in un ambito meramente esecutivo, con preclusione di attività partecipativa alla determinazione del contenuto negoziale, sicché il commesso, anche se autorizzato alla conclusione di contratti in nome dell'imprenditore, non può, di propria iniziativa, introdurre clausole che determinino deviazione dalla disciplina del tipo contrattuale. E poiché la normativa non stabilisce un sistema di pubblicità per i poteri rappresentativi del commesso, l'affidamento del terzo contraente riceve tutela nei limiti del normale esercizio del potere di rappresentanza, come sopra delineato. Ne consegue che, ove il commesso svolga un'attività che si pone al di là di tali limiti, il terzo contraente non può invocare la propria condizione soggettiva di buona fede o i principi dell'apparenza per farne discendere conseguenze a sé favorevoli».  

Le norme ora citate non si applicano al piccolo imprenditore commerciale.