venerdì 23 novembre 2012

IL BLOG HA CAMBIATO INDIRIZZO


Il blog ha cambiato indirizzo e veste grafica ed è ora consultabile digitando http://www.impresa-societa.com
Negli ultimi mesi ho avuto un numero di contatti, di manifestazioni di interesse e di segnalazioni ben più alto di quello che potevo immaginare quando ho iniziato questa piccola avventura.
Un grazie di cuore a tutti e un arrivederci nel nuovo blog. 

Il curatore del blog.

giovedì 6 settembre 2012

NOVITÀ PER IL CONCORDATO PREVENTIVO

A giorni entrerà in vigore la riforma del concordato preventivo contenuta nell’articolo 33 del "decreto crescita" estivo convertito dalla legge 134/2012, riforma destinata a “favorire la continuità aziendale” delle imprese in crisi: qui di seguito qualche annotazione sulle maggiori novità di interesse aziendale (prescindendo dalle innovazioni relative al contenuto tecnico-processuale della sequenza concordataria).
L'articolo segue sul nuovo blog, impresa e società.
La riforma, che presenta aspetti di indubbio interesse per gli imprenditori e i professionisti, non modifica completamente la disciplina del titolo III della legge fallimentare, ma introduce alcune novità indubbiamente utili a favorire il ricorso alla procedura in questione e (auspicabilmente) il salvataggio dei complessi aziendali coinvolti (si vedano in particolare i nuovi o rinnovati articoli 161, 169 bis, 182 quinquies, 186 bis della legge fallimentare.) 
La novità più discussa tra i pratici è l’introduzione dell’istituto anglosassone del c.d. “automatic stay”: il nuovo quinto comma dell’articolo 161 della legge fallimentare consente all’imprenditore di depositare il ricorso per l’ammissione a concordato con riserva di presentare la proposta di concordato, il piano e la documentazione di supporto in un termine successivo, compreso tra 60 e 120 giorni ed eventualmente prorogabile per ulteriori 60 giorni.
Dalla data di pubblicazione nel Registro delle Imprese dalla notizia del deposito del ricorso è precluso ai creditori di iniziare o proseguire le azioni esecutive o cautelari e di acquisire titoli di prelazione.
In questo modo l’imprenditore è in grado di avere un lasso di tempo adeguato per predisporre la proposta concordataria o studiare soluzioni alternative senza l’assillo delle azioni dei creditori e senza che si rischino situazioni irreparabili dannose per tutto il ceto creditorio (come la vendita di beni pignorati o l’assegnazione di somme espropriate presso Istituti di Credito).
L’effetto protettivo così raggiunto è amplificato dal fatto che  sono inefficaci di diritto le ipoteche giudiziali iscritte nei tre mesi antecedenti la pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese
Altra novità molto rilevante è contenuta nel nuovo articolo 169bis che risolve il problema – molto frequente – della difficoltà dell’impresa in concordato di adempiere le obbligazioni pregresse e consente di estinguere rapporti contrattuali non profittevoli.
Questa nuova norma consente, infatti, all’impresa ammessa a concordato di sciogliersi dai contratti in corso di esecuzione con l’autorizzazione del Tribunale ovvero di sospenderne l’adempimento per un periodo massimo di sessanta giorni, prorogabile solo una volta.: la controparte contrattuale può ottenere un risarcimento equivalente al danno conseguente al mancato adempimento soddisfatto “come credito anteriore al concordato”, ossia in moneta percentuale alla pari di tutti gli altri creditori.
La riforma ha interessato anche l’articolo 182-quater, norma introdotta nel 2010 e finalizzata a favorire la concessione di finanziamenti funzionali alla procedura concordataria.
Il nuovo 182-quater consente all’imprenditore di richiedere al Tribunale con la domanda di concordato (anche se non ancora accompagnata dalla proposta, da depositarsi successivamente) l’autorizzazione a contrarre finanziamenti prededucibili, a condizione che vi sia una relazione dell’attestatore che confermi che tali finanziamenti sono “funzionali alla miglior soddisfazione dei creditori”), eventualmente anche garantiti da pegno o ipoteca.
La stessa norma prevede che il debitore possa essere autorizzato dal Tribunale, in corso di procedura e fin dalla proposta «a pagare crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi» a condizione che sia attestato nei modi di legge che tali prestazioni sono «essenziali per la prosecuzione dell’attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori».
Del tutto nuova è anche la disciplina contenuta nel nuovo articolo 186bis della legge fallimentare, rubricato “concordato con continuità aziendale”.
Si tratta di una norma molto ampia, destinata a regolare diversi problemi che si pongono quando il piano concordatario preveda «la prosecuzione dell’attività d’impresa da parte del debitore», «la cessione dell’azienda in esercizio», oppure ancora «il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società anche di nuova costituzione».
Per il nuovo articolo 186bis in queste situazioni è, anzitutto, richiesta una diligente attività di verifica preventiva della convenienza e degli effetti della continuazione dell’attività di azienda e il del professionista che attesta la fattibilità del piano concordatario deve espressamente attestare che «la prosecuzione dell’attività d’impresa è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori».
La norma prevede poi la possibilità – in caso di continuità aziendale – del differimento, fino a un anno dall’omologazione del concordato, del pagamento dei creditori privilegiati e la continuità dei contratti in corso.
Le nuove norme, delle quali ho esposto solo gli aspetti principali, vanno sicuramente nella direzione della semplificazione e dell’efficienza e possono favorire il mantenimento degli organismi aziendali delle imprese in crisi.
Non vi è stato però (ed è una mancanza grave) alcun vero passo in avanti verso la creazione di un mercato della crisi di impresa.
Se il salvataggio delle aziende in crisi fosse economicamente conveniente (per esempio in virtù di reali vantaggi tributari o creditizi) si creerebbero le condizioni perché la procedura concordataria abbia come esito naturale la continuità aziendale e consenta la soddisfazione dei creditori in tempi rapidi.
Nel nuovo intervento legislativo manca anche una risposta al problema molto sentito dei concordati preventivi con cessione dei beni nei quali … non si riescono a vendere i beni (questo è spesso il caso delle imprese di costruzione).
In queste ipotesi si sarebbe potuto pensare alla creazione di strumenti di mercato fiscalmente agevolati (fondi con quote negoziabili rappresentative del patrimonio ceduto ai creditori) utili a favorire lo smobilizzo dei crediti di coloro che oggi devono solo sperare nell’abilità del Liquidatore Giudiziale o nelle contingenze di mercato.



lunedì 20 agosto 2012

GLI ASSEGNI “IN GARANZIA”: UNO STRUMENTO INEFFICACE?


Nella pratica degli affari il ricorso alle cambiali a garanzia dei pagamenti futuri va sempre più diminuendo.
Capita, infatti, spesso che al momento della conclusione di un accordo commerciale che preveda dilazioni di pagamento una parte consegni all’altra uno o più assegni privi della data e del luogo di emissione (o con data posticipata) a garanzia del futuro pagamento.
L'articolo segue sul nuovo blog, impresa e società.
Questi titoli sono privi degli elementi di cui al n. 5) dell'art. 1 del R.D. n. 1736 del 1933 (legge assegni), in assenza dei quali il titolo non vale come assegno (v. art. 2 legge assegni).
Si tratta di un uso diffuso, specie in contesti nei quali è difficile o troppo costoso il ricorso a forme più evolute di garanzia, come la fideiussione bancaria.
In queste situazioni è bene avere la massima cautela.
Un significativo orientamento giurisprudenziale ritiene, infatti, che l'assegno privo di data sia nullo, potendo valere solo in via eventuale quale promessa di pagamento (Cassazione civile 6 marzo 2006 n. 4804; Cassazione civile 14 novembre 2001 n. 14158; Cassazione civile 30 maggio 1996 n. 5039). In proposito una decisione risalente della Cassazione ha anche affermato che la carenza della data non essere rimediata dal potere conferito dal traente al prenditore di completare poi il titolo con la data mancante: detta delega deve, infatti, ritenersi inefficace, perché è necessario che tutti gli elementi dell'assegno sano presenti al momento della sua emissione (Cass. 3 maggio 1967 n. 828).
Una decisione più recente ha affermato che l'emissione di un assegno consegnato a garanzia di un debito e destinato a essere restituito al debitore qualora questi adempia regolarmente alla scadenza della propria obbligazione (rimanendo nel frattempo nelle mani del creditore come titolo esecutivo da far valere in caso di inadempimento) è da considerarsi un’operazione economico- giuridica contraria alle norme imperative di cui alla disciplina degli assegni.
Per quest’ultima decisione simile operazione non è meritevole di tutela alla luce del criterio della conformità a norme imperative, all'ordine pubblico e al buon costume
(Cassazione civile 19 aprile 1995 n. 4368).
Secondo l’orientamento in discorso, da ultimo confermato da una recente ordinanza la giustificazione della sanzione della nullità si rinviene nella natura dell'assegno il quale, pur a seguito delle modifiche intervenute nel corso degli anni, che hanno eliminato la rilevanza penale dell'emissione degli assegni in bianco, conserva la sua funzione essenziale di mezzo di pagamento: altrimenti opinando il titolo verrebbe ad assumere una funzione totalmente diversa, assolvendo uno scopo assimilabile a quello della cambiale.
In questa situazione la scelta più prudente per chi debba negoziare un impegno di garanzia per il pagamento di debito futuro sembra essere l’impiego delle cambiali o il ricorso ad altre forme di garanzia (pegno su quote societarie, fideiussioni di terzi, ecc.).

venerdì 20 luglio 2012

LA PROCEDURA DI CONCILIAZIONE: UN VANTAGGIO O UN COSTO PER L’IMPRESA?






La legge impone a chi voglia avviare una causa civile relativa a determinate materie di tentare preventivamente il raggiungimento di un accordo con la controparte con l’assistenza di un Organismo di Mediazione.
La procedura preventiva di conciliazione è attualmente obbligatoria per determinate liti, come quelle relative ai rapporti di locazione al risarcimento danni da responsabilità medica e - soprattutto - ai contratti assicurativi, bancari e finanziari.
L'articolo segue sul nuovo blog, impresa e società. È, però, naturalmente possibile un accesso più ampio alla conciliazione.
Un soggetto (o in particolare l’impresa) che voglia iniziare una lite può, infatti, rivolgersi su base volontaria a un organismo per la mediazione delle controversie, sollecitando un tentativo di composizione del conflitto.
La “volontarietà” del tentativo di conciliazione può anche essere rafforzata sul piano contrattuale, inserendo negli accordi relativi a qualsiasi materia (fornitura di beni, prestazioni di servizi, statuti di società, accordi parasociali, ecc.) clausole tali da imporre alle parti l’esperimento di una procedura conciliativa prima dell’avvio di qualsiasi lite.
Un buon esempio è il seguente: «In ogni caso, prima di agire in giudizio, le parti s’impegnano a tentare la conciliazione presso la Camera di Commercio della provincia di residenza del consumatore, secondo la procedura stabilita dal Regolamento di conciliazione da questa adottato.
I soggetti incaricati della pianificazione legale dell’impresa devono ormai fare i conti con la conciliazione delle liti, tenendo conto dei costi e delle probabilità di successo della stessa sia quando l’attività di impresa interessi ambiti di conciliazione “obbligatoria” e sia quando si voglia un ricorso“volontario” alla conciliazione negli ambiti non coperti dall’obbligatorietà.
La valutazione in proposito deve tenere conto di diverse circostanze.
Anzitutto: la conciliazione obbligatoria sembra avere un modesto effetto positivo nella riduzione del numero delle liti. Dai dati del Ministero della Giustizia relativi al primo anno di applicazione della relativa disciplina risulta che il soggetto contro il quale si avvia la procedura conciliatoria compare nel 35% dei casi e che quando la comparizione avviene il 48% delle liti si compone. Questo vuol dire, in sostanza, che la probabilità di successo della conciliazione “obbligatoria” è circa del 17%. Questa potrebbe essere considerata, in primissima approssimazione, anche la probabilità di successo della conciliazione “volontaria” (per esempio di quella prevista nei contratti).
Va poi considerato che la conciliazione è piuttosto costosa, per l'onere delle indennità dovute agli organismi di mediazione (proporzionali al valore della lite) e per effetto della necessità di sopportare i costi dell'assistenza professionale nel corso della procedura.
Va poi tenuto in conto il fatto che spesso l’accordo conciliativo è concluso dalle parti senza sufficiente approfondimento della situazione di fatto e solo per l’esigenza di evitare –comunque – l’insorgere di una lite.
Tale accordo è – però – molto difficile da impugnare: può quindi succedere che i costi e il tempo dedicati alla mediazione si rivelino infruttuosi.
In conclusione: occorre avvicinarsi alla conciliazione con grande prudenza e – soprattutto – cercando di valersi di assistenza professionale qualificata e preparata alla cultura della mediazione, mentre allo stato attuale sembra essere prematuro l'impiego generalizzato di clausole di conciliazione nei contratti dell'impresa.

domenica 1 luglio 2012

DECRETO SVILUPPO: IMPORTANTI NOVITÀ PER LA SOLUZIONE NEGOZIATA DELLA CRISI D’IMPRESA

Dopo l’abolizione dell’istituto dell’amministrazione controllata la normativa italiana sulla crisi d’impresa non prevedeva uno strumento agile e non troppo formalizzato di protezione dell’impresa in crisi dalle azioni dei creditori e non conteneva una regola che consentisse all’impresa in difficoltà non fallita di sciogliersi dai contratti in corso.
L'articolo segue sul nuovo blog, impresa e società.
Sul punto non mancavano gli esempi degli ordinamenti stranieri e non sarebbe stato impensabile introdurre uno strumento normativo orientato alla moratoria delle azioni dei creditori e alla risoluzione dei contratti per un periodo sufficiente a consentire la ricerca di una soluzione alla crisi d’impresa.
Il decreto sviluppo n. 83/2012 segna un’importante svolta nella direzione della gestione semplificata della crisi d’impresa, modificando la legge fallimentare.
La nuova disciplina consente all’impresa che vuole sottoporsi alla procedura del concordato preventivo di depositare un ricorso contenente la sola richiesta di ammissione alla procedura: la complessa documentazione finora prevista dalla legge fallimentare (come il piano concordatario e la situazione patrimoniale) possono essere depositati in seguito, nel termine stabilito dall’Autorità Giudiziaria (nuovo articolo 161 della legge fallimentare).
Nel periodo compreso tra il deposito del ricorso e il decreto di apertura della procedura di concordato preventivo, l’imprenditore può compiere, previa autorizzazione del tribunale, gli atti urgenti di straordinaria amministrazione e, senza necessità di autorizzazione, gli atti di ordinaria amministrazione (sempre nuovo articolo 161 della legge fallimentare).
Per effetto della sola presentazione del ricorso (e della sua pubblicazione nel Registro delle Imprese) i creditori per titolo o causa anteriore non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore, mentre le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni precedenti la procedura sono inefficaci nei confronti dei creditori (nuovi articoli 168 e 169bis).
Secondo la disciplina del decreto il debitore che abbia presentato domanda di ammissione a concordato può essere autorizzato dall’Autorità Giudiziaria a sciogliersi dai contratti in corso ovvero a sospenderne l’esecuzione per un periodo massimo di centoventi giorni: in questi casi al contraente è dovuto un indennizzo equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento (nuovi artt. 168 e 169bis della legge fallimentare).
Sono poi da segnalare:


-       il nuovo art. 182-quinquies della legge fallimentare, che consente al debitore, previa autorizzazione del tribunale, di contrarre finanziamenti funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori;


-       il nuovo art. 186-bis, relativo al “Concordato con continuità aziendale”, istituto che prevede la prosecuzione dell'attività d’impresa da parte del debitore, anche attraverso la cessione dell'azienda in esercizio ovvero il conferimento dell'azienda in esercizio in una o più società (su questo si tornerà con altro post)
I commenti a queste nuove regole sono, ovviamente, prematuri (anche perché il decreto deve essere ancora convertito).
Al favore per la semplificazione introdotta nel sistema si accompagna però, sin d’ora, qualche perplessità sulla possibilità dell’utilizzo strumentale della protezione dalle azioni dei creditori offerta dalla mera presentazione di una domanda di ammissione a concordato, priva di qualsiasi controllo sulla ragionevolezza e sulla prognosi di esito.

martedì 29 maggio 2012

L’IMPRESA E LE LITI. ORIENTARSI NELLA COMPLESSITÀ


Negli ultimi decenni la giustizia civile e quella amministrativa hanno visto ampliare in maniera davvero notevole il proprio spazio di intervento.
Posizioni di interesse che fino a qualche decennio fa non erano nemmeno oggetto di attenzione sono oggi al centro di cause ricorrenti.
L'articolo segue sul nuovo blog, impresa e società.
Questo accade, ad esempio, nei rapporti tra imprese, consumatori e utenti (ove per esempio sono emerse con prepotenza il tema della tutela dei soggetti “deboli” e quella della protezione della riservatezza dei dati personali).
Controversie fino a pochi anni fa sconosciute vi sono anche nei rapporti tra imprese (si pensi al tema della subfornitura o a quello della lotta contro le intese anticoncorrenziali) e tra imprese e istituto di credito (solo da un ventennio o poco più si dibatte veramente nei Tribunali del problema dell’esorbitanza del costo del denaro.)
Del tutto nuovo è, anche, il campo del risarcimento del danno provocato ai cittadini e alle imprese dalla Pubblica Amministrazione per effetto dello scorretto esercizio dei poteri amministrativi.
In un quadro così complesso orientarsi è davvero molto difficile, sia quando è l’impresa a iniziare una lite che quando la lite è iniziata da altri contro l’impresa.
Ponendo attenzione al caso in cui sia l’impresa ad avviare la lite va considerato che è difficile, anzitutto, individuare quale posizione di interesse sia tutelabile e quale non lo sia.
Molti imprenditori, per esempio, non sanno che è tutelabile l’interesse a ottenere dalla pubblica amministrazione un provvedimento in tempi rapidi e che è possibile ottenere il risarcimento del danno derivante dal ritardo.
Allo stesso modo molte imprese non conoscono le possibilità di tutela offerte dalla legge in tema di subfornitura dalla legge 192 del 1998.
Una volta individuato un interesse tutelabile occorre compiere la valutazione comparativa dei costi e dei benefici di un’azione per la tutela di tale interesse.
Alla decisione di promuovere l’azione deve seguire l’attenta programmazione delle iniziative da adottare e quindi una costante verifica dell’andamento della causa.
Per non perdere delle occasioni e per non sprecare con cause malamente condotte delle occasioni che si siano individuate è bene che all’interno dell’organizzazione dell’impresa sia individuato un soggetto incaricato di seguire costantemente l’evoluzione del mondo del diritto e di mantenere i contatti con i professionisti incaricati di seguire le liti.
È anche molto utile partecipare con assiduità ai momenti di formazione organizzati dalle associazioni di categoria, dagli Ordini Professionali e dalle Università.
L’importante è non considerare le liti un mero costo, ma imparare a valorizzarle come un elemento della strategia d’impresa: molte imprese si comportano con successo in questo modo (per esempio diverse imprese che operano nel campo degli appalti, organizzate per documentare e far valere ogni fatto che possa determinare il diritto a maggiori compensi).

lunedì 28 maggio 2012

IL CONCORDATO PREVENTIVO, L’IMPRESA E I SUOI CREDITORI.


Le regole della crisi d’impresa sono molto cambiate negli ultimi anni.
Per tradizione secolare l’insolvenza dell’imprenditore commerciale determinava l’apertura a suo carico di una procedura fallimentare, finalizzata ad assicurare il pagamento proporzionale di tutti i creditori in condizioni di parità e caratterizzata da una forte impronta punitiva.
L'articolo segue sul nuovo blog, impresa e società.
Nella prima metà del ventesimo secolo il sistema è stato mitigato offrendo al debitore “onesto e sventurato” la possibilità di concordare con i creditori non privilegiati (che votano a maggioranza) le condizioni della liquidazione dell’attivo, con forte attenuazione degli effetti sanzionatori dell’insolvenza.
Alla fine del ventesimo secolo un movimento di riforma legislativa ha favorito il concordato preventivo (per esempio eliminando il principio dell’intangibilità dei privilegi) e introdotto un innovativo strumento di composizione contrattuale della crisi d’impresa, definito “accordo di ristrutturazione dei debiti” (di cui parleremo ancora).
Nel nuovo sistema i soggetti coinvolti nella crisi d’impresa devono considerare con molta attenzione i vantaggi e gli svantaggi di una procedura di concordato preventivo, che è complessa e piuttosto costosa (per effetto dei molti interventi professionali richiesti) oltre che caratterizzata – nella pratica – da possibilità d’intervento molto forti del Tribunale e del Commissario da questo nominato.
È presto per fare dei bilanci sul “nuovo” concordato preventivo e sulle sue tante implicazioni.
Forse, però, si può ipotizzare che il concordato preventivo sia utile soprattutto per assicurare la continuità di aziende in funzionamento, che può essere favorita da accordi con i creditori per la sistemazione delle pendenze pregresse e la continuazione dei rapporti di credito e di fornitura.
In questa situazione una “buona” procedura concordataria potrebbe prevedere la cessione dell’azienda “purgata” dai debiti (e accompagnata da opportuni provvedimenti per la tutela occupazionale e previdenziale) e quindi il pagamento di quanto proposto ai creditori.
Il concordato è invece, forse, poco utile quando si tratti della mera liquidazione di un patrimonio (immobili, macchinari, strumenti finanziari…).
In questi casi la procedura potrebbe rivelarsi solo un procedimento più oneroso rispetto a quello fallimentare (salva, forse, la maggiore celerità delle vendite, tutta da verificare) e spesso sfociare in una dichiarazione di fallimento motivata dall’impossibilità di adempimento della proposta concordataria.
L’impresa in crisi deve considerare attentamente la convenienza della soluzione concordataria, mentre i creditori non possono limitarsi, nel valutare la convenienza della proposta, a considerare la percentuale di soddisfacimento loro offerta: essi dovrebbero, invece, esaminare con attenzione la qualità complessiva dell’offerta a loro rivolta e la probabilità di successo della proposta del soggetto insolvente.

giovedì 17 maggio 2012

IL PROBLEMA DELLA LIBERAZIONE DEL FIDEIUSSORE “OMNIBUS”.


È frequente il caso del socio (e ancora di più dell’amministratore) di una piccola società che è chiamato a prestare garanzia fideiussoria per l’esposizione bancaria della società medesima.
L'articolo segue sul nuovo blog, impresa e società.
Spesso la fideiussione è del tipo “omnibus” e garantisce – pertanto - l’adempimento delle obbligazioni dipendenti da operazioni bancarie di qualunque natura, già consentite o che venissero consentite, alla società garantita.
Il fideiussore è, però, partecipe della vita sociale e si rende ben conto del rischio di una simile garanzia.
Gli anni passano e la situazione cambia: il socio garante lascia la compagine sociale o cessa di interessarsi attivamente della vita sociale (per esempio perché decade dalla carica di amministratore o si licenzia dall’impiego presso la società garantita).
La fideiussione (che non ha limite di durata) viene dimenticata, senza che il socio garante neppure si preoccupi di revocare il proprio impegno: il garante da partecipe diviene ignaro.
La fideiussione “riappare” però, all’improvviso (anche dopo molti anni), quando la società garantita incontra difficoltà nel rientro dell’esposizione bancaria.
Si pone, quindi, il problema della tutela del garante ignaro dell’effettivo andamento della società garantita.
In questi casi deve essere tenuto ben presente quanto dispone l’articolo 1956 del codice civile «il fideiussore per un'obbligazione futura è liberato se il creditore, senza speciale autorizzazione del fideiussore, ha fatto credito al terzo, pur conoscendo che le condizioni patrimoniali di questo erano divenute tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito»: questa norma è considerata inapplicabile quando il garante è in condizione di conoscere la situazione del debitore garantito.
Se, quindi, la Banca ha consentito successivi continui aumenti dell’esposizione della società garantita nonostante il peggioramento della situazione della stessa, si apre un’importante via di tutela per il fideiussore.
In questi casi è bene poter documentare in maniera convincente sia il distacco del fideiussore dall’attività sociale che l’evoluzione negativa subita dalle condizioni patrimoniali della società garantita.

mercoledì 16 maggio 2012

ADOTTARE IL MODELLO 231. UN VANTAGGIO O UN COSTO INUTILE?


Di Roberto Galdino*
La risposta alla domanda che spesso viene posta da chi si trova davanti al dilemma se adottare o meno il Modello 231 risiede nel vantaggio che da una simile scelta può giungere.
Dall’adozione del Modello 231, oltre alla esimente dalle responsabilità amministrative proprie delle persone giuridiche in sede penale ai sensi del D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, si possono conseguire ulteriori concreti vantaggi misurabili tanto in termini organizzativi quanto in termini di rientro dell’iniziale investimento sostenuto per adottarlo che di accesso a nuove opportunità di business.
Faccio riferimento alla concreta possibilità di giungere attraverso l’accurata fase di risk assesment e di risk management proprie della costruzione di un Modello di organizzazione, gestione e controllo: 1. alla razionalizzazione dei processi ed alla contestuale riduzione dei costi di gestione interni all’azienda, 2. in materia di delega – alla presunzione di corretto adempimento dell’obbligo di vigilanza – ai sensi dell’art. 16 del D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 - da parte del datore di lavoro, con la conseguente riduzione dei controlli da parte dei preposti organi di vigilanza, 3. all’abbattimento del rischio per gli amministratori di essere riconosciuti responsabili in sede civile per i danni patrimoniali subiti dalla società stessa in conseguenza della mancata adozione del Modello, 4. all’esplicitazione dei valori etici caratterizzanti l’azienda verso i propri dipendenti, clienti, fornitori, collaboratori, verso l’intera comunità, 5. all’adozione di una governance efficace ed idonea alla gestione dell’ente perché concretamente orientata al buon governo ed alla soddisfazione degli interessi di tutti gli stakeholder societari, 6. alla possibilità di poter prendere parte alle gare di appalto indette dalla pubblica amministrazione e di essere iscritti nei relativi albi pubblici, 7. alla possibilità concreta di arricchire il valore e la reputazione della propria società non solo sul mercato azionario, 8. alla possibilità di un effettivo coordinamento dei sistemi gestionali (salute – sicurezza – ambente – qualità – privacy – norme ISO TS – etc.) interni alla società sino a giungere a ridurre o eliminare inutili sovrapposizioni e burocrazie, 9. alla possibilità di essere modello di riferimento per le altre realtà.
In considerazione dei vantaggi esposti adottare il Modello 231 è di certo una opportunità da cogliere.

* Amministratore di RG Consulting Sas. Pubblicista. Presidente e Membro di organismi di vigilanza.

martedì 15 maggio 2012

LA FIDEIUSSIONE DEL NULLATENTE: PER TUTTA LA VITA SULLA TORRE DEI DEBITI?


Non è infrequente che gli Istituti di Credito chiedano e ottengano – negoziando la concessione di crediti - garanzie fideiussorie di soggetti che sono e con ogni probabilità saranno nullatenenti o comunque privi di significativo patrimonio.
Queste persone assumono un’obbligazione, che non saranno mai in grado di soddisfare perché assolutamente sproporzionata alle loro condizioni patrimoniali: in questo modo è condizionata l'intera esistenza del garante, costretto - secondo un'espressione corrente in Germania - a una vita «sulla torre dei debiti».
Nella giurisprudenza della vicina Germania (di cultura e tradizione giuridica assimilabile alla nostra) siffatta prassi è oggetto di valutazioni negative.
A volte si è riscontrata una violazione del § 138 BGB (codice civile) in base al quale è nullo il negozio contrario al buon costume. Altre volte la valutazione negativa è stata fondata sull'applicazione del § 310 BGB che sancisce la nullità di alienazioni (o di costituzione di usufrutto) aventi a oggetto beni futuri e che garantirebbe il «diritto inalienabile alla speranza e al perseguimento della felicità».
Altre volte in Germania la domanda dell'istituto di credito garantito è stata respinta in applicazione del principio di auto responsabilità per violazione degli obblighi di informazione e di avviso incombenti sulla banca creditrice.
La soluzione dei Giudici Tedeschi è stata autorevolmente avallata dalla Corte Costituzionale di quel Paese con la notissima sentenza 19 ottobre 1993 (in Foro It., 1995, IV, c. 88 ss.).
Non credo che in Italia siano ancora maturi i tempi per una simile evoluzione.
Credo, però, che la comunità degli operatori del diritto e dell’economia debba seriamente riflettere sulla possibilità di un cambiamento culturale.
Qualche spunto per dichiarare la nullità (e/o pronunciare l’annullamento) della fideiussione del nullatenente si può trovare.
Ne indico qualcuno:
-          si tratta di un impegno giuridico fin dall’inizio irrealizzabile e privo di qualsiasi serietà;
-           si tratta di una situazione nella quale la posizione delle parti è talmente sperequata che si può davvero dubitare dell’esistenza di una causa giuridica della fideiussione;
-          non è meritevole di tutela il comportamento di un operatore economico qualificato (la Banca) che accetta (e magari qualche volta impone) un obbligo del tutto spropositato da parte di un soggetto ai margini del sistema economico;
-          un elementare principio di buona fede impone di tutelare la posizione dell’altro contraente, informandolo dell’inutilità o del pregiudizio degli impegni che intende assumere.

UNA RIFLESSIONE SUL DECRETO 231/01 DIECI ANNI DOPO


La responsabilità penale-amministrativa di cui al decreto legislativo 231/2011 (decreto legislativo 231/01 “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”) comporta l’applicazione di sanzioni pecuniarie o interdittive quando vengano commessi dei reati nell’ambito dell’organizzazione di: Enti forniti di personalità giuridica, società fornite di personalità giuridica e associazioni anche prive di personalità giuridica, Imprese individuali  (Cass. 15 dicembre 2010, n. 15657) e – forse - studi professionali (Cass. Pen. n. 4703 del 7 febbraio 2012 riferita a laboratorio odontotecnico in forma di snc).
Questa responsabilità, come è noto, è esclusa in caso di adozione da parte degli Enti di modelli organizzativi idonei a prevenire il compimento dei reati.
Il d.lgs. 231/2001 consente l’esenzione da responsabilità degli enti che:
§     si dotino e abbiano efficacemente adottato specifici modelli organizzativi e di gestione, idonei alla prevenzione di reati della medesima specie di quello commesso, di modo che il reato sia commesso aggirando fraudolentemente i predetti modelli di organizzazione e di gestione;
§     si dotino di un organismo di vigilanza ad hoc, dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo, che abbia effettivamente esercitato le sue funzioni e i suoi compiti durante il momento di commissione del reato.
L’adozione di un “modello 231” in alcuni casi è esplicitamente obbligatoria:
      società quotate al segmento Star di Borsa Italiana;
      imprese che aspirino all’accreditamento presso Enti Locali: sanità Regione Sicilia (decreti n. 1179/11 e 1180/11), formazione professionale Regione Lombardia (decreto regionale n. 588/2010), convenzionamento con Regione Calabria;
      imprese a partecipazione pubblica per effetto di leggi regionali (es. ASL lombarde)
      previsione articolo 30 T.U. Sicurezza Lavoro d. lgs. 81/08.
Il modello è in realtà sempre implicitamente obbligatorio in termini di ruolo e responsabilità degli amministratori.
L’adozione e l’attuazione del modello 231 (così come dei criteri di comportamento previsti dai codici volontari di categoria) costituiscono, infatti, elementi dei doveri gestionali degli amministratori e specificano il precetto generale di diligenza connessa alla natura dell’incarico degli amministratori di società di cui all’articolo 2392 cod. civ.
Gli amministratori che abbiano trascurato adozione o attuazione del modello sono civilmente responsabili verso la società, i creditori sociali e tutti i soggetti legittimati al risarcimento.
Una prima – parziale - applicazione Trib. Milano 1774 del 13.02.2008: l'amministratore delegato e presidente del C.d.A. è tenuto al risarcimento della sanzione amministrativa di cui all'art. 10 d.lgs. n. 231/2001, nell'ipotesi di condanna dell'ente a seguito di reato, qualora non abbia adottato o non abbia proposto di adottare un modello organizzativo.
Andando più oltre: anche in assenza di sanzioni l’amministratore si potrebbe considerare sempre responsabile verso la società se non ha adottato il modello 231, per avere esposto la società medesima al rischio della commissione di reati e delle relative conseguenze sanzionatorie.

Riferimenti: