martedì 29 maggio 2012

L’IMPRESA E LE LITI. ORIENTARSI NELLA COMPLESSITÀ


Negli ultimi decenni la giustizia civile e quella amministrativa hanno visto ampliare in maniera davvero notevole il proprio spazio di intervento.
Posizioni di interesse che fino a qualche decennio fa non erano nemmeno oggetto di attenzione sono oggi al centro di cause ricorrenti.
L'articolo segue sul nuovo blog, impresa e società.
Questo accade, ad esempio, nei rapporti tra imprese, consumatori e utenti (ove per esempio sono emerse con prepotenza il tema della tutela dei soggetti “deboli” e quella della protezione della riservatezza dei dati personali).
Controversie fino a pochi anni fa sconosciute vi sono anche nei rapporti tra imprese (si pensi al tema della subfornitura o a quello della lotta contro le intese anticoncorrenziali) e tra imprese e istituto di credito (solo da un ventennio o poco più si dibatte veramente nei Tribunali del problema dell’esorbitanza del costo del denaro.)
Del tutto nuovo è, anche, il campo del risarcimento del danno provocato ai cittadini e alle imprese dalla Pubblica Amministrazione per effetto dello scorretto esercizio dei poteri amministrativi.
In un quadro così complesso orientarsi è davvero molto difficile, sia quando è l’impresa a iniziare una lite che quando la lite è iniziata da altri contro l’impresa.
Ponendo attenzione al caso in cui sia l’impresa ad avviare la lite va considerato che è difficile, anzitutto, individuare quale posizione di interesse sia tutelabile e quale non lo sia.
Molti imprenditori, per esempio, non sanno che è tutelabile l’interesse a ottenere dalla pubblica amministrazione un provvedimento in tempi rapidi e che è possibile ottenere il risarcimento del danno derivante dal ritardo.
Allo stesso modo molte imprese non conoscono le possibilità di tutela offerte dalla legge in tema di subfornitura dalla legge 192 del 1998.
Una volta individuato un interesse tutelabile occorre compiere la valutazione comparativa dei costi e dei benefici di un’azione per la tutela di tale interesse.
Alla decisione di promuovere l’azione deve seguire l’attenta programmazione delle iniziative da adottare e quindi una costante verifica dell’andamento della causa.
Per non perdere delle occasioni e per non sprecare con cause malamente condotte delle occasioni che si siano individuate è bene che all’interno dell’organizzazione dell’impresa sia individuato un soggetto incaricato di seguire costantemente l’evoluzione del mondo del diritto e di mantenere i contatti con i professionisti incaricati di seguire le liti.
È anche molto utile partecipare con assiduità ai momenti di formazione organizzati dalle associazioni di categoria, dagli Ordini Professionali e dalle Università.
L’importante è non considerare le liti un mero costo, ma imparare a valorizzarle come un elemento della strategia d’impresa: molte imprese si comportano con successo in questo modo (per esempio diverse imprese che operano nel campo degli appalti, organizzate per documentare e far valere ogni fatto che possa determinare il diritto a maggiori compensi).

lunedì 28 maggio 2012

IL CONCORDATO PREVENTIVO, L’IMPRESA E I SUOI CREDITORI.


Le regole della crisi d’impresa sono molto cambiate negli ultimi anni.
Per tradizione secolare l’insolvenza dell’imprenditore commerciale determinava l’apertura a suo carico di una procedura fallimentare, finalizzata ad assicurare il pagamento proporzionale di tutti i creditori in condizioni di parità e caratterizzata da una forte impronta punitiva.
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Nella prima metà del ventesimo secolo il sistema è stato mitigato offrendo al debitore “onesto e sventurato” la possibilità di concordare con i creditori non privilegiati (che votano a maggioranza) le condizioni della liquidazione dell’attivo, con forte attenuazione degli effetti sanzionatori dell’insolvenza.
Alla fine del ventesimo secolo un movimento di riforma legislativa ha favorito il concordato preventivo (per esempio eliminando il principio dell’intangibilità dei privilegi) e introdotto un innovativo strumento di composizione contrattuale della crisi d’impresa, definito “accordo di ristrutturazione dei debiti” (di cui parleremo ancora).
Nel nuovo sistema i soggetti coinvolti nella crisi d’impresa devono considerare con molta attenzione i vantaggi e gli svantaggi di una procedura di concordato preventivo, che è complessa e piuttosto costosa (per effetto dei molti interventi professionali richiesti) oltre che caratterizzata – nella pratica – da possibilità d’intervento molto forti del Tribunale e del Commissario da questo nominato.
È presto per fare dei bilanci sul “nuovo” concordato preventivo e sulle sue tante implicazioni.
Forse, però, si può ipotizzare che il concordato preventivo sia utile soprattutto per assicurare la continuità di aziende in funzionamento, che può essere favorita da accordi con i creditori per la sistemazione delle pendenze pregresse e la continuazione dei rapporti di credito e di fornitura.
In questa situazione una “buona” procedura concordataria potrebbe prevedere la cessione dell’azienda “purgata” dai debiti (e accompagnata da opportuni provvedimenti per la tutela occupazionale e previdenziale) e quindi il pagamento di quanto proposto ai creditori.
Il concordato è invece, forse, poco utile quando si tratti della mera liquidazione di un patrimonio (immobili, macchinari, strumenti finanziari…).
In questi casi la procedura potrebbe rivelarsi solo un procedimento più oneroso rispetto a quello fallimentare (salva, forse, la maggiore celerità delle vendite, tutta da verificare) e spesso sfociare in una dichiarazione di fallimento motivata dall’impossibilità di adempimento della proposta concordataria.
L’impresa in crisi deve considerare attentamente la convenienza della soluzione concordataria, mentre i creditori non possono limitarsi, nel valutare la convenienza della proposta, a considerare la percentuale di soddisfacimento loro offerta: essi dovrebbero, invece, esaminare con attenzione la qualità complessiva dell’offerta a loro rivolta e la probabilità di successo della proposta del soggetto insolvente.

giovedì 17 maggio 2012

IL PROBLEMA DELLA LIBERAZIONE DEL FIDEIUSSORE “OMNIBUS”.


È frequente il caso del socio (e ancora di più dell’amministratore) di una piccola società che è chiamato a prestare garanzia fideiussoria per l’esposizione bancaria della società medesima.
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Spesso la fideiussione è del tipo “omnibus” e garantisce – pertanto - l’adempimento delle obbligazioni dipendenti da operazioni bancarie di qualunque natura, già consentite o che venissero consentite, alla società garantita.
Il fideiussore è, però, partecipe della vita sociale e si rende ben conto del rischio di una simile garanzia.
Gli anni passano e la situazione cambia: il socio garante lascia la compagine sociale o cessa di interessarsi attivamente della vita sociale (per esempio perché decade dalla carica di amministratore o si licenzia dall’impiego presso la società garantita).
La fideiussione (che non ha limite di durata) viene dimenticata, senza che il socio garante neppure si preoccupi di revocare il proprio impegno: il garante da partecipe diviene ignaro.
La fideiussione “riappare” però, all’improvviso (anche dopo molti anni), quando la società garantita incontra difficoltà nel rientro dell’esposizione bancaria.
Si pone, quindi, il problema della tutela del garante ignaro dell’effettivo andamento della società garantita.
In questi casi deve essere tenuto ben presente quanto dispone l’articolo 1956 del codice civile «il fideiussore per un'obbligazione futura è liberato se il creditore, senza speciale autorizzazione del fideiussore, ha fatto credito al terzo, pur conoscendo che le condizioni patrimoniali di questo erano divenute tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito»: questa norma è considerata inapplicabile quando il garante è in condizione di conoscere la situazione del debitore garantito.
Se, quindi, la Banca ha consentito successivi continui aumenti dell’esposizione della società garantita nonostante il peggioramento della situazione della stessa, si apre un’importante via di tutela per il fideiussore.
In questi casi è bene poter documentare in maniera convincente sia il distacco del fideiussore dall’attività sociale che l’evoluzione negativa subita dalle condizioni patrimoniali della società garantita.

mercoledì 16 maggio 2012

ADOTTARE IL MODELLO 231. UN VANTAGGIO O UN COSTO INUTILE?


Di Roberto Galdino*
La risposta alla domanda che spesso viene posta da chi si trova davanti al dilemma se adottare o meno il Modello 231 risiede nel vantaggio che da una simile scelta può giungere.
Dall’adozione del Modello 231, oltre alla esimente dalle responsabilità amministrative proprie delle persone giuridiche in sede penale ai sensi del D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, si possono conseguire ulteriori concreti vantaggi misurabili tanto in termini organizzativi quanto in termini di rientro dell’iniziale investimento sostenuto per adottarlo che di accesso a nuove opportunità di business.
Faccio riferimento alla concreta possibilità di giungere attraverso l’accurata fase di risk assesment e di risk management proprie della costruzione di un Modello di organizzazione, gestione e controllo: 1. alla razionalizzazione dei processi ed alla contestuale riduzione dei costi di gestione interni all’azienda, 2. in materia di delega – alla presunzione di corretto adempimento dell’obbligo di vigilanza – ai sensi dell’art. 16 del D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 - da parte del datore di lavoro, con la conseguente riduzione dei controlli da parte dei preposti organi di vigilanza, 3. all’abbattimento del rischio per gli amministratori di essere riconosciuti responsabili in sede civile per i danni patrimoniali subiti dalla società stessa in conseguenza della mancata adozione del Modello, 4. all’esplicitazione dei valori etici caratterizzanti l’azienda verso i propri dipendenti, clienti, fornitori, collaboratori, verso l’intera comunità, 5. all’adozione di una governance efficace ed idonea alla gestione dell’ente perché concretamente orientata al buon governo ed alla soddisfazione degli interessi di tutti gli stakeholder societari, 6. alla possibilità di poter prendere parte alle gare di appalto indette dalla pubblica amministrazione e di essere iscritti nei relativi albi pubblici, 7. alla possibilità concreta di arricchire il valore e la reputazione della propria società non solo sul mercato azionario, 8. alla possibilità di un effettivo coordinamento dei sistemi gestionali (salute – sicurezza – ambente – qualità – privacy – norme ISO TS – etc.) interni alla società sino a giungere a ridurre o eliminare inutili sovrapposizioni e burocrazie, 9. alla possibilità di essere modello di riferimento per le altre realtà.
In considerazione dei vantaggi esposti adottare il Modello 231 è di certo una opportunità da cogliere.

* Amministratore di RG Consulting Sas. Pubblicista. Presidente e Membro di organismi di vigilanza.

martedì 15 maggio 2012

LA FIDEIUSSIONE DEL NULLATENTE: PER TUTTA LA VITA SULLA TORRE DEI DEBITI?


Non è infrequente che gli Istituti di Credito chiedano e ottengano – negoziando la concessione di crediti - garanzie fideiussorie di soggetti che sono e con ogni probabilità saranno nullatenenti o comunque privi di significativo patrimonio.
Queste persone assumono un’obbligazione, che non saranno mai in grado di soddisfare perché assolutamente sproporzionata alle loro condizioni patrimoniali: in questo modo è condizionata l'intera esistenza del garante, costretto - secondo un'espressione corrente in Germania - a una vita «sulla torre dei debiti».
Nella giurisprudenza della vicina Germania (di cultura e tradizione giuridica assimilabile alla nostra) siffatta prassi è oggetto di valutazioni negative.
A volte si è riscontrata una violazione del § 138 BGB (codice civile) in base al quale è nullo il negozio contrario al buon costume. Altre volte la valutazione negativa è stata fondata sull'applicazione del § 310 BGB che sancisce la nullità di alienazioni (o di costituzione di usufrutto) aventi a oggetto beni futuri e che garantirebbe il «diritto inalienabile alla speranza e al perseguimento della felicità».
Altre volte in Germania la domanda dell'istituto di credito garantito è stata respinta in applicazione del principio di auto responsabilità per violazione degli obblighi di informazione e di avviso incombenti sulla banca creditrice.
La soluzione dei Giudici Tedeschi è stata autorevolmente avallata dalla Corte Costituzionale di quel Paese con la notissima sentenza 19 ottobre 1993 (in Foro It., 1995, IV, c. 88 ss.).
Non credo che in Italia siano ancora maturi i tempi per una simile evoluzione.
Credo, però, che la comunità degli operatori del diritto e dell’economia debba seriamente riflettere sulla possibilità di un cambiamento culturale.
Qualche spunto per dichiarare la nullità (e/o pronunciare l’annullamento) della fideiussione del nullatenente si può trovare.
Ne indico qualcuno:
-          si tratta di un impegno giuridico fin dall’inizio irrealizzabile e privo di qualsiasi serietà;
-           si tratta di una situazione nella quale la posizione delle parti è talmente sperequata che si può davvero dubitare dell’esistenza di una causa giuridica della fideiussione;
-          non è meritevole di tutela il comportamento di un operatore economico qualificato (la Banca) che accetta (e magari qualche volta impone) un obbligo del tutto spropositato da parte di un soggetto ai margini del sistema economico;
-          un elementare principio di buona fede impone di tutelare la posizione dell’altro contraente, informandolo dell’inutilità o del pregiudizio degli impegni che intende assumere.

UNA RIFLESSIONE SUL DECRETO 231/01 DIECI ANNI DOPO


La responsabilità penale-amministrativa di cui al decreto legislativo 231/2011 (decreto legislativo 231/01 “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”) comporta l’applicazione di sanzioni pecuniarie o interdittive quando vengano commessi dei reati nell’ambito dell’organizzazione di: Enti forniti di personalità giuridica, società fornite di personalità giuridica e associazioni anche prive di personalità giuridica, Imprese individuali  (Cass. 15 dicembre 2010, n. 15657) e – forse - studi professionali (Cass. Pen. n. 4703 del 7 febbraio 2012 riferita a laboratorio odontotecnico in forma di snc).
Questa responsabilità, come è noto, è esclusa in caso di adozione da parte degli Enti di modelli organizzativi idonei a prevenire il compimento dei reati.
Il d.lgs. 231/2001 consente l’esenzione da responsabilità degli enti che:
§     si dotino e abbiano efficacemente adottato specifici modelli organizzativi e di gestione, idonei alla prevenzione di reati della medesima specie di quello commesso, di modo che il reato sia commesso aggirando fraudolentemente i predetti modelli di organizzazione e di gestione;
§     si dotino di un organismo di vigilanza ad hoc, dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo, che abbia effettivamente esercitato le sue funzioni e i suoi compiti durante il momento di commissione del reato.
L’adozione di un “modello 231” in alcuni casi è esplicitamente obbligatoria:
      società quotate al segmento Star di Borsa Italiana;
      imprese che aspirino all’accreditamento presso Enti Locali: sanità Regione Sicilia (decreti n. 1179/11 e 1180/11), formazione professionale Regione Lombardia (decreto regionale n. 588/2010), convenzionamento con Regione Calabria;
      imprese a partecipazione pubblica per effetto di leggi regionali (es. ASL lombarde)
      previsione articolo 30 T.U. Sicurezza Lavoro d. lgs. 81/08.
Il modello è in realtà sempre implicitamente obbligatorio in termini di ruolo e responsabilità degli amministratori.
L’adozione e l’attuazione del modello 231 (così come dei criteri di comportamento previsti dai codici volontari di categoria) costituiscono, infatti, elementi dei doveri gestionali degli amministratori e specificano il precetto generale di diligenza connessa alla natura dell’incarico degli amministratori di società di cui all’articolo 2392 cod. civ.
Gli amministratori che abbiano trascurato adozione o attuazione del modello sono civilmente responsabili verso la società, i creditori sociali e tutti i soggetti legittimati al risarcimento.
Una prima – parziale - applicazione Trib. Milano 1774 del 13.02.2008: l'amministratore delegato e presidente del C.d.A. è tenuto al risarcimento della sanzione amministrativa di cui all'art. 10 d.lgs. n. 231/2001, nell'ipotesi di condanna dell'ente a seguito di reato, qualora non abbia adottato o non abbia proposto di adottare un modello organizzativo.
Andando più oltre: anche in assenza di sanzioni l’amministratore si potrebbe considerare sempre responsabile verso la società se non ha adottato il modello 231, per avere esposto la società medesima al rischio della commissione di reati e delle relative conseguenze sanzionatorie.

Riferimenti: