Uno dei
problemi ricorrenti del diritto delle società è quello della diminuzione (o
della perdita) di valore delle partecipazioni sociali derivante da un danno
sofferto dalla società.
Si possono
prospettare diversi casi:
- la società subisce gli effetti di
una crisi di mercato o di simile evento esterno (condizioni metereologiche
avverse, restrizioni alle esportazioni, ecc.);
- un terzo provoca danno alla società
in violazione di obbligazione contrattuale: questo accade, per esempio, quando
gli amministratori mancano di adempiere i propri doveri, o quando un cliente
non paga una fornitura;
- un terzo provoca danno alla società
senza violazione di obbligazione contrattuale: questo accade, per esempio,
quando la Pubblica Amministrazione non adempie un obbligo di sovvenzione ovvero
quando la società è vittima di un illecito.
In tutti
questi casi la perdita subita dalla società si riflette in una diminuzione di
valore delle partecipazioni sociali, maggiore o minore secondo le circostanze
del caso concreto (prassi di distribuzione degli utili, facilità di cessione a
terzi delle partecipazioni, ecc.).
I Tribunali
italiani sono stati investiti da diverse domande di risarcimento della
diminuzione del valore della partecipazione proposte dai soci nei confronti dei
soggetti che avessero danneggiato la società.
Queste
domande sono state sempre respinte sul presupposto che In caso
d’illecito che possa comportare un depauperamento del patrimonio sociale
suscettibile di risolversi nella diminuzione del valore della partecipazione del
socio, il diritto al risarcimento compete solo alla società e non anche al
socio, perché l'illecito colpisce direttamente la società e il suo patrimonio,
mentre l'incidenza negativa sulla partecipazione sociale costituisce soltanto
un effetto indiretto di detto pregiudizio e non conseguenza immediata e diretta
dell'illecito.
Il principio è stato riaffermato da Cass. 14 febbraio
2012, n. 2087, per la quale nelle società «il
socio diventa immediatamente titolare di un insieme di facoltà e poteri,
esercitabili all'interno della struttura societaria, strumentali al suo
funzionamento e al perseguimento dello scopo sociale costituito dal conseguimento
di utili e, in caso di scioglimento della società, della quota di liquidazione.
Ora, la partecipazione sociale - che attribuisce al socio tale complessa
posizione contrattuale - si caratterizza, nelle società di capitali, per una
sua spiccata autonomia giuridica rispetto al patrimonio sociale, autonomia che
le consente di avere un suo proprio valore … tutto ciò dimostra come essa sia
un bene giuridicamente distinto dal patrimonio sociale e quindi, anche sotto
tale aspetto, inidoneo a venire direttamente danneggiato da vicende che
riguardino quest'ultimo, le quali potranno avere su di essa effetti solo
indiretti e riflessi. E invero, come insegna la disciplina economica, il valore
di mercato della partecipazione non è dato solo dalla frazione di valore del
patrimonio sociale che essa rappresenta, ma è influenzato da molteplici fattori
ulteriori, che rendono limitatamente correlabili i due valori, cosicché non ad
ogni diminuzione patrimoniale della società corrisponde una diminuzione di
valore delle azioni e delle quote e, viceversa, non ad ogni incremento di detto
patrimonio corrisponde un corrispondente aumento del valore di mercato delle
azioni e delle quote».
La possibilità di ottenere il risarcimento della
perdita di valore della partecipazione sociale esiste quindi solo in ipotesi
specifiche, come nel caso dell’abuso della direzione e coordinamento di
società. Per tale ipotesi l’articolo 2497 del codice civile stabilisce che «Le società o gli enti che, esercitando
attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell'interesse
imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta
gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente
responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla
redditività ed al valore della partecipazione sociale».